Le feste religiose a Licata
Religiosità, folklore e credenze popolari. Le principali festività cadono nel pieno della primavera, quasi a significare il risveglio della natura e quindi della vita, strettamente connesse alla religiosità. Ad aprire le feste di primavera è quella di San Giuseppe, organizzata dalla corporazione dei falegnami. Si celebra il 19 marzo. Viene portato in processione l’artistico gruppo scultoreo di San Giuseppe con il Bambino Gesù, opera dello scultore licatese Ignazio Spina, custodita nella chiesa Madre. Momento atteso di questa ricorrenza è la cosiddetta “cena di San Giuseppe” organizzata presso la casa di un falegname alla quale vengono invitati due bambini vestiti da S. Giuseppe e la Madonna.
Ma le festività più attese sono quelle legate ai riti della Settimana Santa e di Pasqua e quella del Santo Patrono, Sant’Angelo Martire Carmelitano. Ad aprire i riti della Passione è la festa dell’Addolorata di Sant’Agostino. Cade il venerdì precedente a quello della crocifissione. E’ un comune giorno lavorativo, ma la gente partecipa numerosissima alla processione dell’artistica statua lignea dell’Addolorata che parte della omonima chiesa, presso il mare, e dopo aver percorso le vie principali viene portata nella chiesa Madre dove sosta sino alla sera della domenica della palme, quando, nuovamente in processione, viene portata lentamente, al cadenzare del rullo dei tamburi e di meste lamentazioni che rappresentano il dolore della Vergine, nella sua chiesa. Questo culto era già vivo a Licata nella 2a metà del 700, ma la processione risale alla 2a metà dell’800. Da allora è tradizione vedere dietro la bara della Madonna tante donne scalze in segno di penitenza e di ringraziamento per una grazia richiesta o per una grazie ricevuta. “U viaggiu” è detto in dialetto. E’ la festa per eccellenza degli uomini di mare, dei pescatori, naviganti e lavoratori del porto. L’arrivo della statua dell’Addolorata a Licata è davvero singolare ed avvolto dalla leggenda. Nella 2a metà, un naufragio spinse sulla scogliera del Caricatore un veliero. I naufraghi vennero soccorsi dai facchini del Caricatore che misero anche in salso il carico della nave. Nella stiva trovarono anche una bellissima statua dell’Addolorata che in segno di ringraziamento portarono nella vicina chiesa di Santa Margherita, officiata dai PP. Agostiniani. Da quel momento la Madonna rimase a Licata e viene con amore e fede venerata ed annualmente festeggiata. Era tradizione che durante la processione la statua si fermasse per ricevere pubblicamente oggetti d’oro e banconote (lire o dollari) in segno di ringraziamento. Questo tesoretto veniva utilizzato per sostenere la festa e restauri della chiesa.
Attesa dai fedeli e dai Licatesi tutti la processione del Cristo flagellato che, a seguito del suo ripristino, ha senza dubbio arricchito i riti della Settimana Santa. Per antica consuetudine a Licata, nella giornata del Giovedì Santo, che già ai primi del 600 era la festa più importante della settimana di passione, si celebrava la processione della “Casazza”, così detta sicuramente perché i misteri, rappresentati da varie macchine processionali, si celebravano dopo la processione all’interno di qualche grande magazzino, appunto una “Casazza”. All’epoca, infatti, il Venerdì Santo si svolgeva fuori dalle mura urbiche, presso il calvario, nel piano di S. Croce, odierna piazza Linares, e si riduceva solo nella “Scinnuta” del Cristo dalla Croce e a differenza di questa processione, non ci sono documenti che attestino che fosse una festa seguita da tutta la cittadinanza.
La processione della “Casazza”, organizzata dalla Confraternita della Carità, in collaborazione con la Confraternita del SS. Crocefisso della Chiesa Madre, consisteva nella processione, già nella giornata del mercoledì santo, del simulacro del Cristo alla colonna, che dopo un lungo andare per le antiche vie e dopo aver raggiunto la chiesa del Carmine, rientrava nella città murata e veniva esposto nell’artistica cappella dell’Immacolata della Chiesa di San Francesco. La sera del giovedì, il Cristo, preceduto da altri misteri veniva ricondotto nella chiesa della Carità, dopo che veniva rappresentata la passione di Gesù.
Troviamo notizie di questa importante festività già in un documento del 1624 e a seguire nel 1629 dove si parla di versamenti di contributi per la realizzazione della processione e quando governatore della Confraternita del SS. Crocefisso era un tal don Angelo Niesi. In un altro documento del 1641 rileviamo che don Andrea Labiso, tesoriere della città di Licata, versava un contributo di 4 onze a don Baldassare di Caro deputato della processione della Casazza del Giovedì Santo e si disponeva nel contempo il pagamento ad Michelangelo Falcuni, pittore, per il restauro dei Misteri.. Altra disposizione di pagamento di un contributo da parte di don Giovambattista Gatto, tesoriere della città di Licata, a don Giovambattista Grugno, deputato della processione della “Casazza” è del 1645. Dal 1866 questa processione non venne più celebrata. Fu ripresa nel 1904 con l’esposizione del Cristo alla colonna nella cappella del Pileri o della Madunnuzza della chiesa Madre. Ma da quell’anno non ebbe più luogo.
Il simulacro del Cristo alla colonna del XVIII sec., che ne sostituisce uno più antico andato distrutto, nel 1926, con il consenso della Confraternita della Carità e per le condizioni precarie dell’allora sacrestia dell’omonima chiesa, venne trasferito dal sac. Giuseppe Dominici nella rettoria della chiesa del Purgatorio, ovvero sia di S. Giacomo Apostolo dell’Ospedale.
Nel 1988, ad opera dei Cavalieri di San Giuseppe Maria Tomasi e Caro, il Cristo alla colonna venne esposto sul sagrato della chiesa Madre. Successivamente fu restituito alla Confraternita della Carità che dal 2005 ripristinò l’antica processione con la variante della esposizione del Cristo alla Colonna nel chiostro del convento di S. Francesco, anziché nella cappella dell’Immacolata come per antica tradizione avveniva.
In epoca più recente questa cerimonia venne sostituita con quella della Confraternita del SS. Sacramento della chiesa Madre che si teneva all’interno della maggiore chiesa e si concludeva, presenti i giurati della città, nella cappella del Crocefisso, dove stava allestito il Sacro Sepolcro.
Oggi la sera del Giovedì santo si visitano i “Sepolcri” di almeno quattro chiese, costituiti da altari splendidamente addobbati con fiori freschi, piante verdi e “curuneddi”. Quest’ultimi si ottengono con semi di grano, lenticchie, orzo, ceci, posti su uno strato di cotone imbevuto d’acqua sistemato in un piatto che viene tenuto per tutto il tempo in un luogo buio per permettere ai semi, una volta germogliati, di mantenere un colore giallo pallido. Queste piantine, prima di essere portate in chiesa, vengono addobbate con dei nastri di raso ed abbellite con fiori variopinti. Dopo che in chiesa Madre si sono conclusi i sacri riti, molto attesa è la processione penitenziale della Confraternita di S. Gerolamo verso il Calvario.
La festa del Venerdì Santo è tra quelle più attese dai Licatesi. Richiama ancora il rientro in patria per l’occasione di molti emigrati anche in terra lontana. La festa in pratica inizia la notte tra il giovedì e il venerdì con la traslazione del simulacro del Cristo morto dalla chiesa di San Gerolamo nella camera ardente allestita presso il Calvario al piano terra del sontuoso palazzo La Lumia. E’ una processione lenta e mesta, seguita da un mare di folla. Il venerdì, giorno di digiuno, si apre con la visita al Cristo morto. Alle ore 13.00 ha inizio la lenta e ritmica processione del Cristo crocifero, il cui volto e le mani si devono allo scultore Ignazio Spina, dalla chiesa di San Gerolamo verso il Calvario, attraverso le vie principali di Licata. E’ sempre presente una grandissima folla di fedeli di tutte le età. Alle 14.00, in piazza del Municipio, uno dei momenti più attesi della festa: la Giunta, annunciata da uno squillo di tromba, tra la Madonna Addolorata di corsa portata dalla Chiesa di Sant’Angelo e il Figlio crocifero. Da questo momenti i due gruppi scultorei procedono, uno portato dai confrati della Misericordia in smoking per la circostanza, l’altro dalle maestranze del mercato agricolo in impeccabile abito nero e guanti bianchi. Caratteristico è il procedere (a ‘nnacata) dei portatori: un passetto avanti, uno di fianco a destra, uno di fianco a sinistra. Dopo un’ora, alle 15.00 in punto, la crocifissione.
Il Cristo crocifero entra nel palazzo La Lumia, da dove il Cristo flagellato che viene portato al Calvario seguito dalla Madonna. A crocifiggerlo sono due preti ed un infermiere. Per il pomeriggio e un andare e venire di processioni e di gruppi di penitenti ( i ‘ncurunati) che portano corone di fiori a Gesù crocifisso. La sera, alle 20.00, giunge sotto il Calvario l’artistica e preziosa urna di legno scolpito e laccato di oro zecchino, illuminata da tanti artistici fanali. I portatori sono ancora i confrati della Misericordia che indossano il saio bianco con cappuccio e cordone rosso annodato ai fianchi. E’ la deposizione del Cristo, la sua collocazione nell’urna e quindi la lunga processione per i corsi della città sino al rientro nella chiesetta di San Gerolamo dopo ben quattro lunghe e stancanti ore.
La tradizione e la religiosità impongono ancora oggi, dopo il digiuno della mattina, dei pasti frugali e penitenziali. A mezzogiorno in punta tutti a tavola per non far tardi alla processione. Viene cucinata e servita la “pasta alla milanisi”, un piatto unico di spaghetti conditi con sarde fresche e finocchietti selvatici che richiamano la fertilità della natura, del mare e della terra. Il pasto della sera è costituito dai “muffuletti”, delle morbide pagnottine profumate cosparse di spezie dolci e di semi di sesamo, ossia di “cimini duci” e di “giurgiulena” che vengono serviti conditi di acciughe o alici salate. Una vera ghiottoneria. E’ anche tradizione recarsi nelle masserie, dove i pecorai offrono ricotta fresca che ben si accompagna con le favette verdi.
La Pasqua di Resurrezione è festa grande non solo in chiesa, ma anche a tavola. Festa di pace e di abbondanza e giorno di doni per i bambini che ricevano il tradizionale “panereddu cu l’ova dura”, una specie di panierino che contiene due uova sode fatto con pane biscotto cosparso di decori colorati. A tavola come dolce spunta l’agnello pasquale fatto di pasta di mandorla e farcito di pasta di pistacchio. Una vera bontà. La sera viene portato in processione dalla chiesa del SS. Salvatore la statua di Gesù risorto, conosciuto come “Gesù cu munnu in manu”.
Il 5 maggio è la maggiore festa di primavera, festa di colori e di spensieratezza. E’ la ricorrenza del martirio di Sant’Angelo Carmelitano, antico patrono di Licata. E’ festa antica, decretata l’8 maggio 1457 dal capitolo provinciale dei PP. Carmelitani. La festa è aperta il 25 aprile dalla Fiera che una volta si concludeva il quattro maggio, mentre oggi procede anche oltre il sei maggio. La città è invasa da una miriade di bancarelle che vendono di tutto e da folle di visitatori dei paesi vicini che vengono ad acquistare.
La festa vera e propria si apre la sera del 4 maggio con i Vespri solenni in chiesa di Sant’Angelo con la presenza dell’intera giunta municipale. La mattina del cinque si apre con spari di mortaretti e con sfilate di bande festose. Un momento particolare è la sfilata delle mule parate che vanno a rendere omaggio, recando doni, a Sant’Angelo sul sagrato del santuario. Le mule per la circostanza sono adornate di penne di pavone, code di volpi, fiori e ricche bardature e sonagliere. Sono ricoperte di tappeti o coperte di seta o di velluto. Sotto le coperte, sulla groppa, portano delle bisacce piene di paglia che le rendono smisurate nelle proporzioni, sì da farle apparire simili ad animali feroci. La sera, alle ore 20.00, dopo la S. Messa, inizia la processione, seguita da una folla straripante, della argentea urna reliquiaria di Sant’Angelo portata su un artistico fercolo. La bara segue un percorso ben studiato.
Dal nuovo cassaro, passa al vecchio cassaro che attraversa l’antico quartiere della Marina, da qui giunge al mare e dalla ex chiesa di San Sebastiano ha inizio la prima spettacolare e travolgente corsa dell’urna, portata a spalla da più file di giovani marinai in divisa bianca e a piedi scalzi che, avvinghiati l’un con l’altro senza guardare il percorso, corrono velocemente per alcune centinaia di metri guidati solo dai timonieri, preceduti da centinaia di ragazzini scalzi festanti ed in bianca divisa che si fanno spazio tra la folla assiepata sui marciapiedi con torce accese, mentre la banda intona marce fastose.
E’ un momento davvero spettacolare e colmo di tensione. Fa rabbrividire il vedere questo fercolo correre e quasi traballare. La processione procede poi lungo tutta la città, anche nei quartieri periferici. Nel percorso vengono fatte altre corse, meno spettacolari della prima. Avvincente, invece, è l’ultima, quella che porta Sant’Angelo sino sotto l’altare maggiore della chiesa patronale, seguito in corsa anche dai giganteschi (alt. m. 4,5) e pesanti quattro ceri (i ‘ntorci) di legno scolpito e laccato portati a spalla da nerboruti pastori e da robusti agricoltori ed ortofrutticoli. La festa procede il giorno dopo con il pallio a mare e con l’albero della cuccagna (u paliu a ‘ntinna), momento molto atteso soprattutto dai bambini, e con regate, corsa con i sacchi, tiro della fune, corsa dei muli. La sera, invece, è il momento di concerti di musica leggera in piazza. Al termine lo spettacolo inebriante dei fuochi pirotecnici.
Fonte: www.lavedettaonline.it